Con un facile quanto breve percorso di circa 2 km si attraversa il Bosco del Cugnolo, uno dei pochissimi lembi intatti di Macchia Mediterranea di tutto l’Adriatico. Il bosco, circondato da coltivi, ha un’estensione di circa 9 ettari e prende il nome dalla contrada in cui è situato, racchiusa tra il Fosso Cupo e quello del Molinetto. Si tratta di una forma ridotta e degradata di foresta sempreverde o macchia primaria e tale integrità permette di classificarlo appunto come “relitto” ed includerlo nelle Aree Floristiche Protette della Regione.
È contraddistinto da un clima temperato caldo in cui le scarse precipitazioni sono concentrate nel periodo invernale alternate ad estati siccitose. L’adattamento a tale situazione ha determinato la ridotta dimensione delle foglie e la loro durezza per ispessimento per contenere la traspirazione, fino a trasformarsi in aghi come nei ginepri o nei pini. Viene governato a ceduo ed è composto soprattutto da querce sempreverdi, tra cui diversi esemplari secolari e curiosamente svariate specie lianose e rampicanti che in più punti lo rendono intricato ed impenetrabile. È situato su una duna fossile del Pliocene alta tra i 60 e i 110 metri il cui rilievo è costituito da sedimenti marini, soprattutto sabbie che in più punti sono ghiaioso-ciottolose formando una resistente falesia lunga circa 450 metri, parallela al mare e distante da esso intorno ai 400. Il terreno è molto instabile e nei punti in cui la vegetazione è scarsa è soggetto a frequenti frane. Risulta inoltre poco adatto all’utilizzo agricolo perché impervio e ciò ha contribuito in maniera determinante alla conservazione del bosco. La genesi della zona deriva dall’era quaternaria (tra 1,5 e 1,8 milioni di anni fa) ed è il frutto di intensi movimenti tettonici seguiti da forti variazioni climatiche che l’hanno modellata fino alla forma attuale.
Nel conglomerato è scavata la Grotta degli Amanti che è possibile visitare a metà del percorso e che deve il suo nome alla vicenda di Antonio e alla sua fidanzata Laurina svoltasi nel 1911 durante le guerre coloniali per la conquista della Libia. Tornato a casa per un breve licenza e innamoratissimo di Laurina, Antonio decise di non separarsi più da lei e quindi di disertare. I due trovarono riparo nella grotta nutrendosi per giorni di pane e sarde portati loro dai pescatori del luogo. Dopo oltre una settimana i fidanzati si sentirono divorati dal rimorso e soprattutto braccati ma piuttosto che separasi decisero di morire saltando dai 70 metri della sottostante rupe del Fosso di San Filippo legati assieme con lo scialle di Laurina. Fu il bisnonno a ritrovare la donna morta e Antonio con gravi lesioni alle vertebre che gli permisero di sopravvivere solo qualche giorno piantonato dai militari e chiedendosi il motivo di tanta attenzione visto che se mai fosse riuscito a guarire sarebbe stato comunque giustiziato.
Proseguendo l’escursione si arriva subito dopo alla seicentesca Villa degli Aranci, proprietà prima dei conti Adami e poi degli Azzolino. Le due famiglie nobili la usavano soprattutto come residenza estiva ospitando anche personalità di spicco. Si sviluppa su tre piani con facciate abbellite da marcapiani e timpani che ne valorizzano il piano nobile. Nonostante si trovi in posizione panoramica, la particolare conformazione della zona la ripara dai venti settentrionali e occidentali che nei secoli ha permesso la coltivazione di agrumi da cui il nome. A nord sorge una chiesina eretta vicino al dirupo sulla cui facciata della cappellina era posta una lapide con la data del 1648. Iniziando il giro dal paese di Torre di Palme ci si può affacciare dalla stupenda terrazza che dà sul litorale Piceno nel tratto che prende il nome di Agro Palmense arrivando a scorgere il Monte Conero. Si può inoltre godere delle caratteristiche e fiorite viette, delle 3 chiese e di un pregevole polittico di Vittore Crivelli e una tavola del Pagani conservati in quella di Sant’Agostino.